Scoperta di vizi e difetti nell’immobile prima del rogito
La compravendita di un immobile è spesso preceduta dalla stesura di un contratto preliminare con cui le parti si obbligano a stipulare un successivo contratto, detto definitivo, di cui il primo deve già prevedere il contenuto essenziale. L’art. 1351 cod. civ. ne impone, a pena di nullità, la stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo e questo si spiega considerando che, se una delle parti è inadempiente alla stipula del definitivo, l’altra parte può agire giudizialmente ed ottenere una sentenza che produca il medesimo risultato che si sarebbe ottenuto con quest’ultimo (esecuzione in forma specifica).
Con il contratto preliminare, dunque, non assistiamo al passaggio della proprietà del bene, ma alla nascita del vincolo (obbligazione) a carico delle parti sottoscriventi di prestare un futuro consenso alla stipula del contratto definitivo.
Per una serie di ragioni può accadere che il promissario acquirente si accorga della presenza di vizi e di difetti nell’immobile dopo la sottoscrizione del preliminare e dopo aver corrisposto al promittente alienante, come spesso succede, una somma a titolo di caparra.
Molti saranno portati a ritenere applicabili, in queste situazioni, le norme sulla garanzia prevista per i vizi della cosa venduta che espongono il venditore all’iniziativa del compratore volta alla modificazione del contratto o alla sua caducazione mediante l’esperimento, rispettivamente, della “actio quanti minoris” o della “actio redhibitoria”. L’art. 1492 cod. civ. dispone che il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto, ovvero la riduzione del prezzo, salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione. Prima considerazione: al compratore (salvo particolarissime ipotesi di legge, id est: garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo, o assunzione di specifico impegno alla riparazione del bene) non è riconosciuta la possibilità di pretendere dal venditore l’eliminazione dei vizi della cosa venduta. Inoltre, in base all’art. 1495 cod. civ., il compratore decade dal diritto alla garanzia, se non denunzia i vizi al venditore entro otto giorni dalla scoperta, salvo il diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge, a meno che il venditore abbia riconosciuto l’esistenza del vizio o l’abbia occultato. In ogni caso, l’azione contro il venditore si prescrive in un anno dalla consegna.
In realtà, la tutela dell’acquirente contro i vizi dell’immobile è esperibile solo dopo che è stato stipulato il contratto definitivo di compravendita: quando si sottoscrive un contratto preliminare non si è ancora proprietari.
Questo non toglie che il promittente venditore sia obbligato a fornire un bene immune da vizi ed in regola con le normative urbanistiche vigenti.
Nel momento in cui il promissario acquirente dovesse riscontrare la difformità dell’immobile rispetto a quello descritto nel preliminare o la presenza di vizi, ciò concretizzerebbe un inadempimento a carico del promittente venditore. Ma quali rimedi sarebbero esperibili?
Prima di tutto potrebbe recedere dal contratto (nel caso di espressa previsione di tale facoltà e/o versamento di caparra confirmatoria) o agire per la sua risoluzione.
In base all’art. 1385 cod. civ., se al momento della conclusione del contratto chi intende acquistare ha dato all’altra parte, a titolo di caparra, una somma di denaro, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta e, in caso di inadempimento della parte che l’ha ricevuta (venditore), l’altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra. La parte non inadempiente può, comunque, domandare l’esecuzione in forma specifica o la risoluzione del contratto, e in tali ipotesi il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali.
Riassumendo, se nel preliminare è prevista una caparra confirmatoria l’acquirente può recedere dal contratto chiedendo il doppio di quanto già versato senza dover provare di aver subito un danno. In tal caso, la dazione del doppio di quanto versato è automatica. Non si ha però il risarcimento del danno. Altrimenti, se il promissario acquirente vuole richiedere il risarcimento del danno che ha subito, potrà agire per la risoluzione del contratto, con onere a suo carico di provare il danno subito.
Naturalmente, non tutti i vizi legittimano l’acquirente ad agire con i predetti rimedi.
Si deve trattare di vizi particolarmente gravi che ricadono, ad esempio, sulla struttura dell’immobile, o che possano incidere sulla sua stabilità o sulla possibilità di utilizzarlo come da contratto. Nel caso di difetti di minore importanza resta salva la possibilità per l’acquirente di chiedere la riparazione del vizio o il risarcimento del danno quantificato in misura corrispondente alla spesa necessaria per ripararlo, o, ancora, la riduzione del prezzo. Inoltre, parte maggioritaria della giurisprudenza ritiene esperibile da parte del promissario acquirente l’azione quanti minoris, contestualmente e cumulativamente all’azione di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo.
Il consiglio resta quello di prevedere nel contratto preliminare delle clausole specifiche di salvaguardia nel caso in cui non si abbia avuto la possibilità di valutare lo stato dell’immobile e di non accettare quelle di esonero dalla garanzia.