Mi hanno rubato la cantina!

Tempo addietro sono stata contatta da una coppia di amici preoccupati per una situazione singolare.

Avevano da poco acquistato un alloggio con cantina annessa quando, in procinto di iniziare i lavori di ristrutturazione, si erano accorti che qualcuno aveva occupato il vano chiudendo con un lucchetto l’ingresso. Immagino che a molti, in un simil frangente, verrebbe in mente di rompere la catena e di liberarsi di quanto riposto nel locale. Soprattutto quando, come nel caso di specie, i proprietari hanno agito coscienziosamente affiggendo sulla porta della cantina un foglio con l’invito a ripristinare lo stato dei luoghi entro un congruo termine, addirittura riportando il numero di telefono per eventuali chiarimenti. Il tutto senza esito. Questa condotta, lo anticipo, non è ammessa ed espone a non pochi rischi. Prima di tutto potrebbe configurare il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, inoltre, non si conosce la natura delle cose riposte: magari carabattole, ma potrebbe trattarsi di beni che hanno un valore economico e affettivo per chi li ha lasciati, o, addirittura, sottratti illecitamente ad altri. Potrebbe anche darsi che l’“occupante” abbia agito in buona fede perché, ad esempio, entrato da tempo nel possesso della cantina, o perché l’abbia utilizzata in virtù di un contratto di locazione con indicazione errata del vano, o, addirittura, potrebbe averla usucapita. Bisogna, dunque, agire con prudenza, anche se la strada può essere lunga.

Quale primo passo ritengo utile confrontarsi con l’amministratore, con la precisazione che questi potrà offrire un aiuto comunicando le circostanze utili di cui eventualmente sia a conoscenza, ma non ha strumenti diretti per la tutela della proprietà privata del singolo condomino contro un altro condomino o contro terzi.

I passi da seguire variano anche in base alla conoscenza/conoscibilità della persona che ha occupato la cantina. Nel caso vi siano dubbi in merito, suggerisco, sotto un aspetto prettamente pratico, di informare del fatto tutti i condomini, anche attraverso una lettera lasciata nella buca, precisando che si agisce in qualità di proprietario, indicando il riferimento catastale e il titolo da cui trae origine il diritto vantato (compravendita immobiliare, successione ereditaria…), invitando chi per errore avesse occupato la cantina a liberarla a proprie spese provvedendo alla rimozione di quanto in essa depositato e del lucchetto entro un ragionevole numero di giorni, avvisando che in difetto si dovrà sporgere denuncia presso le autorità competenti (art. 633 cod.pen.) e agire per la liberazione del locale e per il risarcimento dei danni.

Nel caso in cui si individui il soggetto occupante, suggerisco di inviare una diffida di pari tenore a mezzo lettera raccomandata con ricevuta di ritorno. Nella denegata ipotesi in cui questi passi non fossero sufficienti, occorre valutare con il proprio legale se si possa agire con una azione possessoria o, in difetto, con un’azione petitoria.

Nel primo caso rientra l’azione prevista dall’art. 1168 cod. civ. (azione di reintegrazione), per cui:

Chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l’anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l’autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo.

L’azione è concessa altresì a chi ha la detenzione della cosa, tranne il caso che l’abbia per ragioni di servizio o di ospitalità.

Se lo spoglio è clandestino, il termine per chiedere la reintegrazione decorre dal giorno della scoperta dello spoglio”.

L’azione di reintegrazione o di spoglio costituisce un rimedio per garantire una pronta tutela giudiziaria al possessore che venga privato violentemente o occultamente della disponibilità di una cosa. In altri termini, viene tutelato il possesso e non la proprietà: per ottenere la sentenza di reintegra del possesso occorrerà dimostrare semplicemente che, prima dell’occupazione abusiva, si era possessori del bene occupato. Nel caso di mancato rilascio dopo la sentenza di reintegra del possesso, si renderà necessario procedere con l’esecuzione forzata.

Cosa fare se l’azione possessoria non possa essere esperita perché, ad esempio, sia trascorso più di un anno dallo spoglio o dalla sua scoperta? In questo caso si potrà procedere con l’azione a tutela della proprietà, prevista dall’art. 948 cod. civ., che riconosce il diritto in capo al proprietario di rivendicare la cosa da chiunque la possegga o la detenga, anche se costui, dopo la domanda, abbia cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa.

A differenza della precedente, l’azione di reintegrazione è imprescrittibile, ma può essere promossa solamente da colui che dimostri di essere l’effettivo proprietario del bene. Questo, nel caso di specie, ossia nel caso in cui la questione verta su di un bene immobile, si traduce nella necessità di dimostrare il regolare atto d’acquisto della cosa (compravendita, donazione, successione ereditaria…), nonché la valida proprietà di colui dal quale è stato acquistato, risalendo così indietro nel tempo perlomeno fino a venti anni, periodo necessario a far maturare l’usucapione.

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