Assegno Unico: intenzioni disattese?

Allo scopo di “favorire la natalità, di sostenere la genitorialità e di promuovere l’occupazione, in particolare femminile”, con la legge del 1° aprile 2021 n. 46 il Parlamento ha delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi volti a potenziare le misure a sostegno dei figli a carico. Il successivo D.Lgs. 29 dicembre 2021 n. 230, muovendosi in quest’ottica, ha istituito, a decorrere dal 1° marzo 2022, l’assegno unico e universale per i figli a carico, contemporaneamente abrogando tutte le altre misure previdenziali e assistenziali dirette al sostegno della famiglia e della natalità, a partire dall’assegno per il nucleo famigliare (fatta salva la compatibilità con la fruizione di eventuali altre misure a favore dei figli erogate dalle Regioni, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano e dagli Enti locali, e con il reddito di cittadinanza).

In questo intervento cercherò fornire un quadro sintetico della misura, rimandando, per un più completo approfondimento, alla normativa e alle circolari I.N.P.S.

La misura è rivolta a tutti coloro che esercitano la responsabilità genitoriale a prescindere dalla condizione lavorativa, sempre che siano in possesso di determinati requisiti che devono perdurare per tutta la durata del beneficio.

L’assegno è riconosciuto ai nuclei familiari con figli a carico, per ogni figlio minorenne e, per i nuovi nati, decorre dal settimo mese di gravidanza. Non solo. Può essere richiesto anche per ciascun figlio maggiorenne, fino al compimento dei 21 anni di età, sempre che frequenti un corso di formazione scolastica o professionale, ovvero un corso di laurea; svolga un tirocinio ovvero un’attività lavorativa e possieda un reddito complessivo inferiore a 8.000 euro annui; sia registrato come disoccupato e in cerca di un lavoro presso i servizi pubblici per l’impiego; svolga il servizio civile universale.

Nessun limite di età è stato previsto per i figli con disabilità, ma detta condizione deve essere comprovata dalla Commissione medica costituita presso l’I.N.P.S.

L’espressione “figli a carico” comprende quelli facenti parte del nucleo familiare indicato ai fini ISEE.

Ha diritto a ricevere l’assegno nell’interesse del figlio chi esercita la responsabilità genitoriale. L’emolumento viene corrisposto dall’I.N.P.S. ed è erogato al richiedente ovvero, su richiesta anche successiva, in pari misura tra coloro che esercitano la responsabilità genitoriale. Nel caso in cui il figlio sia affidato in via esclusiva ad un genitore, l’assegno, in mancanza di accordo, spetta a quest’ultimo.

La domanda può essere presentata anche dai figli maggiorenni in possesso dei requisiti di legge in sostituzione dei genitori e finanche dai nonni per i nipoti, ma solo in presenza di un formale provvedimento di affido o in ipotesi di collocamento o accasamento etero familiare.

In base all’art. 3 del D.Lgs. 29 dicembre 2021 n. 230 l’assegno è riconosciuto a condizione che al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata del beneficio il richiedente sia in possesso congiuntamente dei requisiti di cittadinanza, residenza e soggiorno segnatamente elencati.

Oltre a quanto sopra, è richiesta la prova della condizione economica del nucleo familiare dell’istante – al fine della modulazione degli importi erogati una volta riconosciuto l’assegno – che va fornita utilizzando l’indicatore ISEE. Considerato che, per le più svariate ragioni, non sempre e non tutti sono in grado di poterlo ottenere in tempo utile, in assenza di ISEE il nucleo di riferimento è accertato sulla base dei dati autodichiarati in domanda. Questa deve essere presentata, annualmente, in modalità telematica all’I.N.P.S. ovvero presso gli istituti di patronato, secondo le modalità indicate dall’I.N.P.S. sul proprio sito istituzionale.

Da più parti si è sollevato il dubbio sulla effettiva incidenza di questa misura nel menage delle famiglie con figli a carico. Per costoro,l’assegno unico non avrebbe centrato l’obiettivo, considerato che l’importo concretamente erogato, semplificando, varia da un massimo di 175 ad un minimo di 50 euro al mese per ciascun figlio. Più che costituire un significativo strumento in grado di incentivare la crescita demografica, appare come una sorta di sussidio contro la povertà.

Inoltre, con buona pace della “semplificazione amministrativa”, rimasta una sorta di slogan vuoto di significato concreto, la procedura per accedere alla misura si pone sulla scia di quelle che accentuano il divario tra chi è economicamente, culturalmente e socialmente in grado di stare al passo con l’evoluzione della tecnologia e chi non lo è.

Considerazione, quest’ultima, che sposta l’attenzione su di un argomento delicato che meriterebbe di essere approfondito: l’accesso ai diritti sociali oggi appare fortemente condizionato, se non subordinato, alla tecnologia digitale. Oltre che rappresentare una situazione profondamente iniqua, si insinua il dubbio che si ponga in contrasto con la tutela che il nostro ordinamento riconosce e garantisce alle fasce di popolazione più deboli. L’art. 38 della Costituzione, infatti, prevede un aiuto e un sostegno concreto nei confronti di ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere o dei lavoratori disabili, malati, vittime di infortuni, di disoccupazione o che raggiungono l’età della pensione, disponendo che “ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”.

Qualcosa, forse, è rimasto sulla carta.

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