In attesa della “metamorfosi”

Parlare di diritti degli animali nel nostro Paese è inesatto, in quanto l’eterogeneo mosaico di regole che li riguarda non giunge al punto di considerarli titolari di diritti soggettivi tutelati in via diretta. Forse un giorno, come in una sorta di metamorfosi kafkiana riscritta al contrario, il loro status si trasmuterà da oggetti in soggetti, ma per il momento, nonostante una sempre più attenta tutela apprestata in loro difesa ad opera del diritto pubblico, le politiche protezionistiche restano antropocentriche e la comune espressione “diritti degli animali” è inesatta: gli animali sono considerati meri beneficiari e non titolari attivi di uno ius protectionis.

L’animale rientra nella categoria del bene mobile, ma, e per fortuna, di un bene sui generis, in quanto gli viene riconosciuto lo status di soggetto animato e senziente, dotato di una propria sensibilità, portatore di interessi e centro autonomo di imputazione di posizioni di tutela, salvaguardato e protetto dall’ordinamento in quanto provvisto di valore per l’uomo: una sorta di anello di congiunzione o di passaggio tra il regno degli esseri umani e quello dei beni o delle cose in senso stretto.

Questo orientamento si avverte nelle aule di giustizia in cui viene sempre più spesso posto l’accento sul loro benessere tout court inteso non soltanto nel senso fisico, ossia sotto forma di salvaguardia della salute, bensì anche nella sua accezione psicologica e nella possibilità di esprimere i suoi comportamenti naturali.

La condotta di chi abbandona e/o maltratta animali configura un reato.

L’abbandono di animali è previsto dall’art. 727 cod. pen. per cui: “Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”. Le fattispecie punite sono due: l’abbandono di animali – sia il distacco volontario dall’animale, sia qualsiasi trascuratezza, disinteresse o mancanza di attenzione verso quest’ultimo – e la loro detenzione in condizioni che contrastano con la loro natura e generano sofferenze fisiche e/o psichiche.

Il reato di maltrattamento di animali è previsto dall’art. 544-ter cod. pen. che punisce “chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche” con la reclusione da 3 a 18 mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi, mentre è aumentata della metà se dalla condotta delittuosa derivi la morte dell’animale.

Per ravvisarsi maltrattamento non è necessario cagionare una lesione fisica ad un animale, ma è sufficiente lasciarlo soffrire (per mancanza di cure, inedia, ecc…) attraverso condotte omissive consapevoli di tali inflizioni, poiché la norma mira a tutelarlo quale essere vivente in grado di percepire dolore.

Entrambi i reati sono perseguibili d’ufficio, pertanto, una volta che l’autorità giudiziaria sia venuta conoscenza del fatto riconducibile in astratto a tale tipo di delitto, ha il dovere di procedere autonomamente, con le indagini, anche in assenza di altro impulso da parte di soggetti terzi eventualmente offesi.

Vedo spesso pubblicate sui social fotografie o post in cui si condanna un abbandono o un maltrattamento. Non fatelo, è inutile: denunciate immediatamente il fatto presso qualunque ufficio di polizia giudiziaria (Carabinieri, Polizia di Stato, Corpo Forestale, ecc…), ovvero avvalendovi delle associazioni animaliste o di enti riconosciuti.

Da ultimo, una riflessione. Assistiamo all’esigenza di sottrarre l’animale da compagnia dalla categoria di bene mobile, di valorizzarlo come portatore di interessi e centro autonomo di imputazione di posizioni di tutela. Ben venga, direte e dico. Ma come giustificare, sul piano etico, morale, normativo, l’attribuzione di crescente tutela agli animali domestici senza del pari riconoscerla a quelli da allevamento e da macello, a quelli adibiti ad attività circensi, a quelli oggetto di attività venatoria? Vi lascio con questo interrogativo.

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