Videocamere sul lavoro: sicurezza o controllo?

Mi è stato posto un interrogativo in merito ad eventuali profili di illiceità della condotta tenuta dal datore di lavoro che installa nella propria azienda delle telecamere di sorveglianza atte a inquadrare i dipendenti. Il sospetto è che lo scopo enunciato della prevenzione dei furti nasconda la finalità reale di sorvegliare l’operato dei lavoratori; il dubbio è se tale controllo sia ammesso dal nostro ordinamento. Su questo terreno si scontrano due opposte esigenze: quella afferente all’organizzazione del lavoro e della produzione propria del datore di lavoro e quella della tutela della dignità e della riservatezza dei dipendenti.
La normativa di riferimento è data dall’art. 4 della Legge 300/70 (Statuto dei Lavoratori) che vieta l’uso di impianti audiovisivi e altre apparecchiature atte al controllo a distanza del personale dipendente e dalla Legge sulla privacy (D.Lgs n.196/2003) che ne richiama la disciplina. L’art 4 citato dispone che gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possano essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possano essere installati solo previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali ovvero, in mancanza di accordo, solo previa autorizzazione della sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. Le telecamere, dunque, non possono essere installate con lo scopo precipuo di verificare la prestazione lavorativa dei dipendenti. Né è possibile ovviare (o aggirare?) agli incombenti di legge facendo sottoscrivere ai dipendenti una nota di consenso, in quanto il consenso espresso dai lavoratori è materia del Codice Privacy e non ha nulla a che fare con la procedura prevista dalla Legge n. 300/1970. In sintesi: se la videosorveglianza non è oggetto di preventivo accordo con le rappresentanze sindacali o di autorizzazione da parte del competente Ispettorato del Lavoro non può essere collocata nei luoghi di lavoro. Potrebbe, al più, essere utilizzata per controllare l’ambiente esterno dell’azienda per prevenire o documentare, ad esempio, illeciti civili e penali contro il patrimonio. Gli strumenti che invece servono al dipendente per svolgere l’attività lavorativa (pc, cellulare, tablet, …) non necessitano di accordo.
Quanto sopra va posto in relazione con i principi dettati dal Garante per la Privacy, per cui la videosorveglianza deve rispondere ai requisiti di liceità (deve avvenire nel rispetto della legge), necessità (deve evitare il superfluo e gli eccessi), proporzionalità (deve essere utilizzata solo quando altre misure non siano state valutate soddisfacenti o attuabili) e finalità (le motivazioni addotte a suffragio dell’autorizzazione devono essere determinate e legittime). Inoltre, l’azienda che vuole installare telecamere di sorveglianza sul posto di lavoro, prima di mettere in funzione l’impianto, deve sottostare ad una serie di incombenti (informativa privacy ai lavoratori, formazione del personale addetto alla videosorveglianza, nomina di un responsabile alla gestione dei dati registrati, posizionamento delle telecamere nelle zone a rischio evitando di riprendere in maniera unidirezionale i lavoratori, affissione cartelli visibili, conservazione delle immagini per un tempo massimo di 24-48 ore, etc…) il cui mancato espletamento comporta la soggezione a sanzioni e può integrare un illecito penale.
E’ opportuno ricordare che i sistemi di videosorveglianza sono inibiti in luoghi non destinati all’attività lavorativa, quali bagni, spogliatoi, docce, armadietti e luoghi ricreativi in ogni ambiente aziendale.
Quindi, la registrazione accidentale o casuale dell’inadempimento del lavoratore non è utilizzabile a fini disciplinari? Non esattamente, perché i dati raccolti dal datore di lavoro in modo regolare mediante strumenti di controllo a distanza posti a tutela del patrimonio o della sicurezza dei lavoratori o degli impianti produttivi possono essere utilizzati a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro e quindi anche a fini disciplinari.

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